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“siamo tutti nati nel fango ma alcuni di noi guardano alle stelle”.

Oscar Wilde

Riscrivere il mondo

Il mondo, il piano della realtà è una costruzione, una forma che si riempie di contenuto. L’essere umano produce essenzialmente quel contenuto, crea il significato delle cose che, proprio perché prodotto, ha un tratto che si identifica con ogni singola soggettività.

Questa attività di comprensione e appropriazione del mondo è ostacolata dal significato già pronto della società moderna contemporanea che impone i nomi-significati delle cose. La società dei consumi parla attraverso la voce della comunicazione propria come la pubblicità.

Antonio Murgia si inserisce in un linguaggio, quello visivo della comunicazione dei consumi che dirige il fuoco dell’attenzione al prodotto in una composizione commerciale della realtà.
Il prodotto di consumo è veicolato come una verità del mondo, si promuove sempre un significato che, in questo caso, è l’eccezionalità del bene di consumo. Una contraddizione fortissima tra la verità indotta e la verità di fatto perché quello stesso oggetto è uno di una produzione seriale, uno di tanti.

L’arte, il Murgia stesso, ha la percezione di questa mancata unicità dell’oggetto che è poi trasposto nell’opera, nel gesto artistico, divenendo sì unico, irripetibile, si compie l’arte che eleva quello stesso oggetto di consumo a bene non riproducibile.
Qual è il gesto che il Murgia compie? La decostruzione. Compie una scomposizione e una ricomposizione, un’azione sincrona di lettura del mondo come si presenta, della portata semantica dei messaggi della cultura di massa per poi riutilizzarli con una forza e un contenuto nuovi. Vive quel segmento di verità che è propria dell’oggetto di consumo per farlo proprio, lo fa vivere nel senso che diventa parte del proprio linguaggio espressivo, della cifra estetica. Costruisce un impianto semantico nuovo rispetto alla realtà percepita.

Nasce l’arte del Murgia allora sul confine di un atto di scomposizione e di appropriazione autentica della realtà rielaborata nella pittura come costrutto complesso di frammenti e di strutture di cui la realtà è permeata.

Il colore, il cromatismo segna il passaggio dall’analisi alla sintesi di questo processo, ponendo le basi per il momento ultimo dell’azione di decostruzione: l’ironia. L’accensione dei colori, forti, in contrasto tra loro, riempiono la vista, ma sempre con equilibrio, secondo un disegno più grande di ricomposizione e non di rifiuto del mondo che, retto da un’ideale estetico che riflette l’ideale esistenziale di armonia, dell’ordine contro il caos, dà forma al mondo murgiano.

Ironia come atto di ribellione vero alla realtà che rovescia le regole del gioco: qui i colori antinaturalistici significano proprio questo e diventa interessante leggere il cromatismo stesso nell’azione consapevole e a volte inconscia che crea il soggetto, il volto, come un testo narrativo in cui poter significare elementi di sensazioni, di emozioni vissute e tradotte nel gesto pittorico quasi nascoste nel lavoro di ricomposizione semantica della realtà.

Una fusione, quindi, di tratti della cultura di massa che disegna il mondo della superficie e della liquidità dei significati ricomposti in un ordine spaziale e figurativo che ha i tratti di volti umani, la sintesi ultima del caos nell’ordine, nell’equilibrio e nell’armonia del viso che si fa contenitore e fonte di sistemazione del caotico mondo del linguaggio della società del consumo.

Una ribellione non violenta, un’azione che rende viva una realtà priva di vitalità perché schiacciata dal consumo, quell’appropriazione umana del mondo che genera significato umano, soggettivo, autenticamente vivo. La vita è proiezione di senso perché sia significativa, Antonio Murgia fa questo, viaggia in modo metacognitivo sopra i campi vasti del reale.

Giuseppe Maria Andrea Marrone

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